ESAMI.. PRO E CONTRO

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Due parole, sono dovute in merito al discorso esami, nel Krav Maga e nelle arti marziali in generale, così da poterli vivere come una bella esperienza e comunque formativa.

Si cercherà in queste brevi righe di rispondere ad alcune delle classiche domande. Evitare inutili stati d’ansia o paure che possano affliggere chi intraprende la via degli esami affichè si possa affrontare al grido di: “comunque vada sarà un successo”!

Perché i livelli?

La necessità di dividere in cinture e gradi in una classe, prendeva piede nel krav maga, come fu per Imi Lichtenfeld, quando gli allievi aumentavano allenandosi con i nuovi. Le Federazioni invece, frazionano la progressione dello studio secondo loro esigenze federali ed organizzative, grazie ai programmi di esame.

Ovviamente in contesti di Asd, EPS e Federazioni Sportive possono celarsi più penosamente motivi legati a veri e propri bussines di notevole entità e per giochi di potere.

La cinta, le t-shirt, le patch, i gradi consentono all’Istruttore di essere velocemente individuato da chiunque in qualunque momento, idem per i praticanti ma è impensabile che l’allievo perdi tempo a cercare l’insegnante in sala o chi entri nel dojo non capisca chi sia il Maestro. Vale lo stesso per gli allievi con più esperienza che assistono e coadiuvano l’Istruttore e devono essere immediatamente riconoscibili.

Si potrebbe associare la suddivisione del sistema o arte marziale con quella delle cinte-gradi-patch, ad una propeduticità, soltanto che rigide regole in materia, non consentono di norma agli Istruttori di spaziare in tecniche e tematiche navigando a vista per tutto il programma ufficiale e “non ufficiale”, sempre che lo consenta il background del Docente prima di diventare Istruttore..

Metodo K.M.P.  ed esami

Dal 2016 siamo completamente svincolati da ogni tipo di limite e blocco, sia di programma, sia settoriale che da rallentamenti vari sulla questione esami, grazie alla conoscenza dell’Exp. Pasquale Franco e del motodo K.M.P. oramai collaudati come nuova concezione del Krav Maga, ripartiti dalle origini e al passo costante con i tempi e problematiche attuali.

Quando si inizia un corso di difesa personale o un’arte marziale e perchè?

Sarebbe interessante conoscere la vera motivazione per cui si è arrivati in palestra. Nel tempo chiedersi se e come quella ragione iniziale è cambiata, come sia evoluta.

Per passione o desiderio di imparare a difendersi, ma accade si perda di vista tale motivazione e ci si concentri solo sul pensiero degli esami.. non saranno le Cinte, i Diplomi o le Patch a far da scudo per pugni, calci, bastoni.. non saranno le  certificazioni a salvare vite, ma, possono aiutare molto in un regolare percorso di crescita? e come?

Se si costruisse la propria strada, quale percorso parallelo di “preparazione” agli esami, si otterrebbero ottimi risultati. “Preparazione” e “non esiti positivi degli esami”, mai incorrerere nel rischio più grande di puntare e desiderare talmente tanto la Cintura-Patch-Livello da diventare inconsciamente l’obiettivo primario, talmente importante da diventare l’unico obiettivo, perdendo di vista la parte più bella: il percorso stesso.

La determinazione è il carburante che alimenta i miglioramenti in questa attività. Trasformare l’esame in un traguardo è difficile, non se c’e’ umiltà a sostenere il proprio cammino. Concentrarsi sui progressi aumenta notevolmente le possibilità di superare il passaggio di livello, tuttavia potrebbero rivelarsi non sufficienti per altri fattori oggettivi e soggettivi che subentrano al momento del test. Passare l’esame e’ iniziare ogni volta da un nuovo punto di partenza!

Quando si ritiene questa possibilità, un’ottima occasione per integrare sessioni fuori orario o lezioni private, si vive condivisione ed unione con i compagni, allora tutto ciò acquista un senso meraviglioso.

Persi di vista i punti di orientamento in questo mondo della difesa personale, si rischia di entrare in meccanismi viziosi: pazza corsa a conquistare livelli, proliferazione corsi Istruttori, etc.  senza capacità di discernimento e comprendere che esami e difesa in strada sono effettivamente, nella visione standard, due cose distinte e separate.
Insidiata la presunzione a sostituire l’umiltà nei propri animi, quando l’esame fallisce, è naturale commettere l’errore più grande di mollare tutto, sentirsi falliti vanificando gli sforzi fatti fino a quel punto, ma non si può e non si deve!

Comunque vada sarà un successo!

Se la preparazione agli esami come crescita è stata esaudita, si ha vinto comunque!
Una bocciatura è uno spunto per capire quali sono le lacune da colmare.  Molte persone giustificano l’insuccesso di un’esame a causa del forte stato di agitazione, non sapendo che rappresenta un certo peso nella valutazione. Chi non riesce a gestire lo stress da esame, dovrebbe considerare che lo stress psico-fisico in strada è ben peggiore, con la possibilità di venire colpiti, feriti o peggio.. ed in caso di fallimento in sede di esame è già un ottimo punto su cui lavorare.
D’altro canto, è bene tenere a mente, che non eseguire una tecnica “perfettamente da esame” ed essere conseguentemente bocciati, non implica incapacità a sopravvivere in strada

In conclusione, è bene:

– porsi sempre in maniera umile nei confronti della propria conoscenza

– sapere che c’e’ sempre da migliorare e crescere per tutti

– essere consapevoli dei propri limiti per lavorarci e superarli

– più si impara e più si deve aver rispetto della conoscenza di coloro che ne sanno di più, praticanti o Istruttori

– concentrarsi solo a “migliorare”

– studiando con il massimo dell’ impegno

– determinazione e concentrazione sul vero obiettivo

– allenarsi se possibile quotidianamente

– tanto più si darà per un’arte marziale o sistema di difesa, più da essa sarà restituito

– rispetta sempre e comunque te stesso, i compagni di allenamento e il tuo Maestro.

Buon allenamento.

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Ragionare si’.. ma fino a un certo punto

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Molto spesso a fine lezione, alcuni allievi si soffermano riflettendo sul modo in cui si sono allenati. Guardando a miglioramenti attesi in breve tempo, anzichè ai progressi ottenuti nel medio-lungo termine.

Dopo aver meditato sugli allenamenti praticati, alle parole ascoltate da parte dell’insegnante, avvertono però che “tra le righe” tale studio cela molto di piu’. Ma non vi è connessione tra un’esagerata autocritica che versa alla  auto-distruzione e la voglia di imparare di più.
Uno degli obiettivi, come diceva IMI, e’ quello di diventare persone migliori – diventare talmente bravi nella difesa personale e combattimento da non dover mai usare tale addestramento – diventare i c.d. “cani da pastore” come li definisce Grosman (vedi articolo kravmaga.cloud/sullaggressivita-pecore-lupi-e-cani-da-pastore )

Il Krav Maga e’ stato scritto con il sangue, attraverso la perdita di vite e viene ribadito continuamente, quindi cosi’ come la strada non ha regole, la stessa Difesa Personale non dovrebbe averne. L’allenamento prevede un’immersione completa nel mondo della difesa personale, spesso anche abbastanza velocemente e bruscamente, ma ciò non significherà mai “tutto e subito” come l’arrivismo, l’avidità e la presunzione personale ambiscono. Ci vuole prima di tutto umiltà, credere in ciò che si fa e ciecamente nell’Istruttore, seguendo sempre e costantemente tutti i suoi consigli.

Perche’ credere in questo nostro sistema?

Ciò che e’ difficile capire quando si inizia a studiare Krav Maga, è che gli insegnamenti trasmessi dalla fonte, non sono “dati inopinabili” e indiscutibili, perchè passano quotidianamente al vaglio dei migliori esperti del settore, del proprio Istruttore e dei reparti operativi militari e di polizia a livello internazionale, e sarebbe bene tenere presente l’importanza di questo punto, perchè se questi professionisti sbagliano, qualcuno muore.
Le tecniche di Difesa Personale per Militari e Operatori di Polizia, sono concepite per loro e da coloro che spendono la propria vita in strada, in battaglia e in missione, che si dedicano al loro addestramento, perciò se qualcosa non ha funzionato in caso di pericolo è stato modificato, adattato, secondo le situazioni affrontate, dove ogni esperienza ha contribuito e contribuisce a rendere sempre più efficiente lo studio del combattimento, della difesa personale e della difesa di terza persona. Questa e’ la credibilità del nostro metodo.

Prima l’istinto, ma davvero!

Alla nascita si è quanto di più vicino alla macchina perfetta, crescendo veniamo così condizionati da non essere più in grado di sentire il nostro istinto. Crediamo di agire per istinto ma non e’ così, infatti da piccoli viene chiesto di non mostrare le reali emozioni che si provano: il disgusto per un piatto così da non sembrare maleducati, non mostrare dispiacere quando ci si annoia a casa di parenti.. e infatti arriva la sgridata dei genitori “non fare quella faccia!”. Questo perchè tali emozioni e reazioni del corpo, passano senza filtro. Il linguaggio del corpo, le micro-espressioni facciali, trovano la loro via per uscire e lo fanno molto spesso “prima” che la mente possa bloccarle.
L’istinto nella donna è molto più sviluppato, aiuta a sentire attraverso i sensi, quali scelte dovremmo o non dovremmo prendere, ma lo ascoltiamo? Soprattutto le donne, quando sanno che non dovrebbero percorrere una via buia di solito illuminata, cambiano strada allungando il tragitto di un minuto o si mettono di buon passo a percorrerla “al buio”???
Questo è il punto.

L’istinto nel nostro metodo, è stato riportato alla giusta considerazione, troppo spesso sottovalutato e divenuto negli anni “un semplice dettaglio”, il punto di partenza, portando “la tecnica in primo piano”, ci siamo resi conto che possiamo ritornare all’origine e avere effettivamente risultati più efficaci. Ciò che diventava accessorio, come gli esercizi propedeutici, i c.d. “i giochi”, hanno notevolmente reso migliore la preparazione degli studenti.

Gli insegnamenti e la pratica del Krav Maga agiscono nei nostri livelli piu’ intimi e profondi, smuovendo le nostre paure piu’ recondite che nel tempo si sono convogliate in una articolatissima ramificazione forgiando il nostro essere, fino a raggiungere i nuclei delle percezioni sensoriali piu’ epidermiche.
Praticando Krav Maga, impariamo a gestire la paura, guai a non provare paura, creiamo quel bottoncino che accende e spegne l’aggressività, nel tempo trasformiamo il pulsante in “modulatore” e regoliamo l’aggressività secondo la situazione, perchè non sia lei a prendere il sopravvento. Quindi istinto, paura, rabbia, aggressività, lavorano sinergicamente al fine di agire al momento giusto nel modo giusto.
Un giorno lessi su un libro “la paura non gestita diventa panico, la paura gestita diventa coraggio” e per esperienza vissuta, confermo.

E quindi “alla tecnica”, quando ci pensiamo?

Deve essere chiaro nella mente di chi pratica e studia, “quale” situazione sta per affrontare – “lo stato mentale” di partenza, legata alla situazione in cui si trova – “come” si gestisce quella data minaccia/pericolo/situazione- “perchè” in quel modo. Affinché la preparazione possa soccorrere in strada, si deve inizialmente capire “il perché delle tecniche” proprio in palestra. C’e’ il momento iniziale in cui si lavora sull’istinto (non pensare), la parte prettamente tecnica (bisogna pensare, capire, ragionare) e quella sottostress: la fase finale sottostress è il risultato delle prime due fasi, arrivando al punto dove il tempo non è un opzione, non si può più pensare, si deve agire “subito”.

Come?

Attraverso la “consapevolezza”. Consapevolezza di cosa significhi un determinato attacco, che deve essere studiato. Conoscenza dei principi tecnici che entrano in gioco. Istinto che risponde a criteri di biomeccanica, subentra la tecnica che rende più sicura o efficace una soluzione. Tutto ciò ci prepara ad uno stato mentale corretto o ci pone in situazione, grazie ad un allenamento di alto livello, in diversi stati mentali. Più si e’ consapevoli e coscienti di cosa puo’ accadere in situazione di forte stress, maggiori sono le probabilita’ di sopravvivere.

Non si può affrontare qualcosa che non si conosce. Non si può pensare di saper guidare bene, conoscendo semplicemente il funzionamento dei pedali dell’auto o avere seguito sufficienti lezioni di guida con relativa pratica con un Istruttore passando l’esame ed essere convinti di guidare come piloti di F1, si deve fare tanta esperienza!
Tale necessaria conoscenza è trasmessa dall’Istruttore di Krav Maga attimo dopo attimo,  l’esperienza che si vive attimo dopo attimo, consentirà di sviluppare particolari capacità nel praticante.

Su quest’ultima cosa, si fonda l’esperienza di molti insegnanti, purtroppo i corsi “diventa Istruttore in 48h a 99,9 euro” hanno offerto una apparente scorciatoia al sudore e l’impegno che viene prodigato in tanti anni di duro allenamento. Cosi’ tante persone indossano maglie Istruttore, ma hanno costruito il loro necessario percorso di praticante PRIMA, di arrivare a pensare di poter insegnare, come se si trovassero tutte le risposte nel Corso Istruttori (sono quegli allievi che credendo di essere “arrivati” in due anni ad essere “bravi”, forse si’ per i due anni da praticante e non per passare ad insegnare ciò che “NON HANNO IMPARATO”.. ed il loro Ego esplode innalzandosi al settimo cielo, anzichè umilmente accettare che non hanno avuto la “conoscenza trasmessa” dai propri insegnanti con la dovuta maturazione dei tempi)  ma questa è un’altra storia. Semplice si’, ma nessuno ha detto che sarebbe stato mai facile.. e tantomeno veloce. 
Torniamo a noi.

Facendo riferimento, alla “consapevolezza” del problema che andiamo ad affrontare, ci addentriamo nella struttura ossea del nostro sistema – METODO K.M.P. – dove il termine “problema” equivale a “soluzione”.

E’ questiona di strategia.

Durante il proprio percorso di studio, se dovessimo pensare solo ad addestrare quel guerriero che e’ in noi, saremmo portati inevitabilmente a sbagliare, perchè ometteremmo tutta la strategia stessa del combattimento e le possibilità di “portare la pelle a casa” nel minor tempo possibile.
Per imparare a fare la scelta più giusta, dobbiamo allenarci tantissimo e costantemente, ma anche sviluppare quell’empatia verso gli altri, cioè quella capacita’ di capire e sentire le vibrazioni di chi di ha di fronte ed essere consapevoli del valore della vita. Questo micro-mondo confluisce, in un’unico principio proprio di “non violenza” studiando “la violenza”.

Dobbiamo imparare a capire come il nostro corpo reagisce, studiarlo, sentirlo, capirlo, acccettarlo, allenarci e prepararci a tal fine.

“Tutto è pronto se la nostra mente lo è”, scriveva W. Shakespeare.

Su quando dobbiamo ragionare e quando seguire l’istinto, almeno in palestra si ha un valido aiuto dall’Istruttore.
Come accennato, crescendo tendiamo ad utilizzare più la “logica” che il Cuore o l’istinto, anche se il nostro corpo ci avverte e si prepara alla fuga o al combattimento.
In allenamento, parte iniziale e finale, dobbiamo eliminare quella parte “razionale” esattamente come quando dobbiamo “agire”, ma qual’è il modo?
A) imparando a ragionare, quando la tecnica “si studia”,
B) imparando ad agire quando non si stanno sottolineando i dettagli e vedendo gli step, quindi “si deve agire”,
ovvero
A) ragionare quando l’Istruttore chiede di rallentare l’esecuzione del movimento e della tecnica, di non correre verso la fine della tecnica, di seguire esattamente step dopo step, ,
B) agire e basta, quando l’Istruttore mette in condizione l’allievo di “non pensare”, pertanto si deve “fare subito qualcosa”.

Quando si ha la fortuna di avere un’ottima guida in un sistema di difesa così efficace, solo e soltanto se, si seguirà la linea dettata dall’Istruttore ed i principi della metodologia, si potrà veramente imparare.
Il Krav Maga è un’arma a tutti gli effetti, però come un coltello che di per se’ non è pericoloso, difatti ogni giorno miliardi di persone lo utilizzano per tagliare il pane ed i bambini per spalmarci la nutella sopra, non dimentichiamo che può togliere la vita in un attimo.

Studiare e praticare un’arte come il Krav Maga, significa ripudiare la violenza, ma cio’ e’ reso solo grazie ad uno studio maturo e responsabile dei suoi processi, con un Istruttore in grado di “capire” e “sentire” i propri allievi, guidandoli e aiutandoli proprio nello specifico percorso personale, raggiungendo un ridimensionamento dell’ ego del singolo (quell’ego spesso ferito prima ancora del corpo) quietando la sete di una giustizia che non e’ al praticante delegata: non decidiamo noi chi vive o muore. La vita è un dono, e come tale va protetta.

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Aggressività e violenza non sono sinonimi

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Spesso si confonde violenza con aggressività, i due termini però non sono affatto intercambiabili, ma indicano due diversi momenti e condizioni. Si può essere aggressivi e violenti, ma si può anche essere soltanto aggressivi e non violenti. Lʼindividuo aggressivo e non violento è una persona che controlla i propri impulsi e ricorre alla violenza solo se costretto, in casi estremi.

La violenza può essere definita come un atto contro lʼaltro con lʼintenzione di provocare una sofferenza e/o una ferita. Lʼaggressività, invece, è un impulso spontaneo, una manifestazione della forza vitale. Può trasformarsi in violenza oppure in grinta. Cʼè unʼaggressività sana, creativa, appassionata, che consente di fare le cose, di fronteggiare le situazioni, di sentirsi vivi e partecipi. Cʼè anche una collera etica, giustificata dagli eventi e necessaria di fronte alle ingiustizie. Ci si può arrabbiare perché si odia ma anche perché si ama, per ostilità ma anche per amicizia. È giusto e sano arrabbiarsi in determinati frangenti ed è anche giusto e sano non reprimere ogni moto aggressivo perché, così facendo, si rischia di ignorare segnali che possono essere importanti per la propria difesa e, qualche volta, di sviluppare un «falso Sé», ossia unʼimmagine idealizzata di se stesso come persona che non si arrabbia mai: immagine che finisce per bloccare quelle che invece sono delle reazioni normali, prevedibili, spesso risolutive.

Esiste una forma di aggressività, che potremmo definire adattiva, ossia tale da contribuire alla stabilità fisica e psichica di una persona. È un tipo di aggressività funzionale alIʼaffermazione di sé e alla tutela della propria identità. Serve per difendersi ma anche per attaccare quando è necessario. Consente di segnalare allʼaltro che il suo comportamento non è gradito o che non si è disposti a tollerarlo. È indispensabile in taluni contesti, per ottenere rispetto, per comunicare che determinati limiti non devono essere superati. Nelle trattative faccia-a-faccia, per esempio, chi lascia trasparire un poʼ di collera può essere avvantaggiato rispetto a chi non esprime alcuna emozione oppure mostra di avere paura. Il non possedere alcun impulso aggressivo o non avere il coraggio di manifestare la propria collera quando essa è giustificata pone il soggetto nella condizione di diventare una vittima o di non essere preso in considerazione, perché, a meno di vivere in una condizione ideale, è irrealistico pensare che nessuno approfitti dellʼaltrui cedevolezza. Si rischia di essere fraintesi e ignorati. Un poʼ di sana grinta serve invece per non diventare facili bersagli, per non lasciare che altri calpestino i nostri diritti.

Per evitare che crescano troppo arrendevoli o timorosi, ma anche troppo aggressivi è bene consentire ai bambini di esprimere il dissenso, di parlare della rabbia e dellʼodio: sono sentimenti reali e come tali vanno riconosciuti.

Riconoscere e parlare dei sentimenti e delle emozioni è il primo passo per potere poi controllarli. Bisogna anche capire che cosa esprimono veramente. Un bambino può urlare con tutto il fiato che ha in gola il suo «odio» alla mamma non perché vuole il suo male ma perché ha paura di non essere amato da lei. Può ad esempio temere che se disobbedisce o non riesce a essere allʼaltezza delle aspettative, la mamma non gli vuole più bene, resta delusa, preferisce un altro bambino […].

Riconoscere lʼaggressività come una dimensione normale della psiche, dotata anche di potenzialità positive, non significa legittimare la distruttività e la violenza. Aggressività e distruttività non sono sinonimi. Lʼuna non porta necessariamente alIʼaltra. La distruttività costituisce uno degli esiti possibili dellʼaggressività. Ma anche in questo caso si può fare qualcosa per deviarla.

Tratto da: A. Oliverio Ferraris Piccoli bulli crescono. BUR 2006

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Sull’aggressività: “pecore, lupi e cani da pastore”.

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Il GUERRIERO ha un talento: l’aggressività. 
Si esprime all’occorrenza per aiutare gli altri. Chi ha questo dono, unito all’amore per il prossimo, è un vero sheepdog (cane da pastore), un guerriero.

Chi e’ il “guerriero”?
Nella Difesa Personale Metodo K.M.P., durante il proprio percorso di crescita, miglioramento ed evoluzione, sia tecnica che personale, il guerriero si trova ad un livello successivo, dopo il c.d. “fighter”.
Il fighter o combattente, ha la capacita’ di riuscire ad adattare la propria “tecnica” difesa/attacco, durante lo scontro/combattimento, qualora non risulti efficace, in millesimi di secondo.
Il fighter, con le capacità ed esperienze che ha maturato, porta comunque, a termine la neutralizzazione dell’azione compiuta da un’aggressore, adattando l’attacco/difesa portando a suo favore il risultato.
Il guerriero, rispetto al precedente livello di addestramento ed esperienza, riesce a cambiare la sua difesa/attacco non solo nel momento in cui la difesa/attacco non sia stata immediatamente risolutiva, ma qualora anche l’attacco e/o la difesa stessi (dell’aggressore) ricambiano immediatamente. Tale capacità e strumenti, consentono al guerriero di avere un’ulteriore apertura a tecniche superiori che si modellano e alternano nel tempo di millesimi di secondo, in modo profondamente istintivo ed estremamente risolutivo.


“Quanto duro sarebbe, convivere con te stesso/a, se i tuoi cari venissero attaccati e uccisi, e tu fossi li’.. senza poter fare nulla, perché eri impreparato a quel momento?”

Un giorno un veterano disse: ci sono persone gentili, garbate, che non farebbero mai del male a nessuno nemmeno per sbaglio.. non prendono in considerazione l’esistenza della violenza o la considerano come qualcosa che a loro non può capitare, quasi negano l’esistenza della violenza.. e queste sono le c.d. pecore (non necessariamente in un’accezione negativa), ma coloro che se non hanno un’altra persona che provvede alla loro sicurezza (polizia, carabinieri, etc.) potrebbero non sopravvivere. Per loro la violenza è un tabù, pensare che qualcuno possa fargli del male è quasi insostenibile, ma non c’e’ salvezza nella negazione.. Poi ci sono i lupi, uomini cattivi, senza pietà, capaci di azioni molto cattive, che divorano le pecore.. chiunque si dimentichi dell’esistenza dei lupi o faccia finta che non esistano “diventa pecora”.. Infine ci sono gli sheepdog “cani da pastore” che vivono per proteggere il gregge e per affrontare il lupo.. we intimidate those who intimidate others (noi siamo la minaccia per quelli che minacciano gli altri).

Se non siete minimamente capaci di violenza, siete sani e produttivi cittadini: pecore.
Se siete capaci di violenza e non avete empatia verso gli altri, siete aggressivi sociopatici: lupi.
E se siete capaci di violenza, ma nutrite un profondo amore per gli altri, allora siete sheepdog, cani da pastore, guerrieri: pronti a gettarvi nelle tenebre e riemergerne vincenti.

Il cane da pastore, assomiglia al lupo, per questo non è amato dalle pecore, ha gli artigli, ma non deve – non può – non vuole far del male alle pecore. Inoltre il cane da pastore, è un promemoria, che là fuori da qualche parte, ci sono i lupi.

La pecora vorrebbe che il cane, non le dicesse dove andare, non le facesse multe, non fosse di guardia all’aeroporto imbracciando un M4, preferendo che il cane si limasse i denti e dipengendosi di bianco facesse beeeee… FINO AL MOMENTO IN CUI ARRIVA IL LUPO. Allora il gregge, tutto, cerca di ripararsi dietro uno sheepdog solitario, lo cercano e si risentono se non c’e’..

Non c’e’ nulla di moralmente superiore nell’essere uno sheepdog: è solo ciò che scegliete di essere.

Quindi un guerriero è colui che utilizza tutti i sensi per “annusare l’aria”, “sentire ogni rumore”, “smania per una battaglia giusta”.. 
La pecora vive come se il lupo non dovesse mai arrivare, mentre il cane da pastore vive per quel momento.
Non c’e’ nulla di moralmente superiore nell’essere uno sheepdog, ma c’e’ un vantaggio, UNO SOLO, è un guerriero capace di sopravvivere e anzi di prosperare in un ambiente che distruggerebbe il 98% delle popolazione.

Durante una ricerca di una decina di anni fa, condotta su carcerati di crimini violenti, quindi lupi feroci, la stragrande maggioranza di loro dichiarò di “aver scelto specificamente la loro vittima” in base al linguaggio del corpo: una camminata un po’ incerta, un atteggiamento passivo, una carenza di attenzione.. come leoni, tigri, etc.. selezionano in mezzo ad un branco la vittima meno capace di difendersi. 
Gli stessi hanno dichiarato che quando le potenziali vittime non dimostravano un atteggiamento di scarsa remissività, lasciando intuire che non sarebbero state prede facili, questi aggressori di solito rinunciavano e si allontanavano. 
Se capivano che la potenziale vittima era un “contro-predatore”, cioè uno sheepdog, la lasciavano in pace, a meno che non ci fosse altra scelta che ingaggiare lo scontro.
Alcune persone sembrano essere destinate ad essere pecore ed altri sembrano geneticamente programmati per essere lupi o sheepdog. Ma GROSMAN (e lo scrivente condivide pienamente il suo pensiero) ritiene: la maggior parte delle persone possono scegliere.

Potete scegliere chi volete essere. Si tratta di una decisione consapevole, intenzionale, etica.

Se volete essere pecore, potete essere pecore tutta la vita, e non c’e’ niente di male. Ma dovete capire il prezzo che dovete pagare. Quando arriverà il lupo, voi e i vostri cari morirete, a meno che non ci sia un cane da pastore a proteggervi.

Se volete essere lupi, potete esserlo, ma ogni sheepdog vi darà la caccia e non conoscerete mai riposo, sicurezza, fiducia e amore.

Se invece dovete essere sheepdog e camminare sulla via del guerriero, dovrete ogni giorno confermare la scelta di dedicarvi, equipaggiarvi e prepararvi, per quel tossico corrosivo momento in cui il lupo busserà alla vostra porta.
Lo sheepdog ha la maledizione e la benedizione, di essere capace di grande violenza, animata da grande amore per il gregge. Questo è ciò che rende il guerriero diverso dal lupo.
(“Ten.Col. Dave Grossman”)


Quanto duro sarebbe, convivere con te stesso/a, se i tuoi cari venissero attaccati e uccisi e tu fossi lì, senza poter fare nulla perché eri impreparato a quel momento?

QUESTA E’ LA DOMANDA CHE DOVREBBERO PORSI TUTTI. “SCEGLIERE” DI INIZIARE UN CORSO DI DIFESA PERSONALE E’ SCEGLIERE DI DIVENTARE UNO SHEEPDOG, UN GUERRIERO. 

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